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2014


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Chaosmografie II. Teleologia | Æsth-etica
di Jacopo Valli






Chaodicea


Se ogni giustizia muove da un senso arbitrario procedente da un fattore alto ed Altro; se — stando a Rensi — «come [...] esistono le morali, ma non la morale, così esistono le giustizie, ma non la giustizia. E ciò vuol dire che, come la morale, così la giustizia non c’è»; se tutto è Essere e questo non è un tutto, numerabile, quantificabile, formale, ma è ni-ente inesauribile, trasformazione eternale, eterna differenza di sé con sé (Deleuze), tale che il tutto che si è possa essere considerato come sempre immanentemente attuale/virtuale ad un tempo, o, in altri termini, come perpetua costruzione e distruzione come non dialetticamente opposte, o, ancora, come violenza (non moralmente connotata a partire dall’usuale senso comune dualizzante); allora, si tratta di riconoscere l’ineliminabilità ontologica della violenza medesima, che non è estranea, e che non è male in sé, visto che senza di essa non potremmo difenderci, rivoltarci o mantenere la differenza (orizzontale) necessaria alla produzione della nostra stessa esistenza, come sovrani di noi stessi, anche qualora decidessimo intimamente di votarci ai fantasmi.

In Hegel, altrove rispetto al Sistema, troviamo che «l’entità negativa [è] la libertà, cioè il delitto. Questa [...] fa dell’entità-negativa la realtà-essenziale, nega perciò la realtà nella sua determinazione-specifica, ma fissa questa negazione» (cfr. Grundlinien der Philosophie des Rechts).

Il termine delitto par consacrare l’opposizione all’assoluto quale empietà, evidentemente a partire da una prospettiva arbitraria assimilabile ad una Alterità (“dio”) rappresentante un fattore alto. Ma se Satana significa avversario, colui che è avversario dell’assoluto è da quest’ultimo a sua volta avversato: la prospettiva non acefala che possa darsi un assoluto come «realtà nella sua determinazione specifica» pare denunciare non solo l’idea che vi sia un reale davvero reale e necessario, ma anche l’idea che la negazione di tale realtà data non rappresenti parimenti un momento reale e costruttivo (rispetto al molteplice 0 che è).

Ritenere che non possa darsi alcun assoluto dato in origine o a compimento, necessario e/o trascendente rispetto al soggetto, è cessare d’inchiodare alla (o rovesciare o bruciare la […] della) croce la separazione tra Uomo, o meglio — e qui sta anche la critica all’umanismo di Feuerbach riscontrabile in Stirner; critica che ben si adatterebbe al pensiero di uno gnostico ancora residulmente platonico, ovvero inconfessatamente dualista, quale fu il goffamente chiacchierato Crowley, che ancora ciancia di Uomo ed eoni, nonché futilmente di chiesa, come il Bataille de La menace de guerre —, uomini e Natura, la quale è innecessario termine linguistico e ni-ente che é, e mai più che un’idea di quel ni-ente in-esistente sorgente in una mente/corpo/modo di quel ni-ente stesso in-consapevole di sé; è dismettere la contrapposizione tra Natura ed Artificio, ch’é Natura che media su se stessa attraverso se medesima, secondo termini pure visitabili in Bolo Democrito.

Conseguentemente, è riconoscere le opposizioni distruttive (quindi: immanentemente costruttive di possibilità rispetto al dato pertanto mai considerabile come originariamente o definitivamente dato, né come dato/donato da alcuno) come non delittuose, non empie, non rapportabili ad una autoaffermazione inospitale — per Florenskij identificabile col peccato (tale ospitalità imposta è però allora inospitale a sua volta) —, bensì ad una tensione che sembrerebbe più correttamente orientabile verso una ontologicamente comprendibile — razionalmente e non con volontà razionalizzante, sistematizzante, attribuente una razionalità al reale che si produrrebbe quale dualizzante fallo prospettico idealistico — visione «fondamentalmente cainica», radicata nella «solidarietà del parricidio» [solidarietà volta pure alla desistenza circa eventuali tensioni costruttive, restauratrici di qualsivoglia padre, per negazione individuale della Volontà di Potenza, resa termine, Bene, causa soggiogante, gerente dio generante arbitrario senso] — per dirla assieme a Klossowski —, che par essere agiatamente integrabile nella monistica, tragica, festale im-politica.

Le opposizioni distruttive non sono escluse dal gioco naturale e necessario dell’assoluto in-formale che [anche] noi è e che compimento non ha né può avere (compimento che richiederebbe ancora infinite negazioni, se si volesse eludere un suo stabile ed ultimo stritolamento imperante): esse non delineano una duale opposizione dialettica, quantomeno potenzialmente partoriente novelle inanellate positività.


Geometric Horsehair, The illusory gaol, 2013



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